quando mi trastullavo con le rime
Ai pie’ doleano i calli, e su la testa
un’emicrania da buttarsi via
così madonna usciva dalla festa
recriminando per la scortesia
giammai si passerebbe da una cesta
com’acqua che declivia, in dislalia
chiedea la dama con la voce mesta
la giusta cura d’un’anestesia
pria di marcire sotto un crisantemo:
visto ch’allor non v’era altra terrena
cura al dolor, nemmeno un monotremo
da farci combaciar la rima amena
(vuolsi così), ché l’attimo supremo
l’ebbe l’ornitorinco sulla scena.
settembre 2012
Pingback: parodiando | cristina bove
Tutta bella, ma il finale, scoppiettante.
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grazie, Aitan 🙂
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Mi unisco al coro di lode che avverto levarsi da ogni angolo del blog…
In genere esamino le tue offerte a gruppi, scegliendo di farlo nei momenti di calma interiore (ed esteriore: tempo di riflettere, che non c’è mai). Attratto dal titolo ho fatto un’eccezione, sono entrato per una poesia sola (che barbaro! come se una sola poesia di Cristina Bove non giustificasse di per sé l’interruzione di ogni altra attività!) e ho avuto la mercede immeritata.
Telegraficamente: potuto ammirare abilità professionale STOP. Goduto ironia STOP mai letto parodia migliore STOP Esperimento da ripetere STOP
Mam
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ma grazie, mam!
e visto ch’è piaciuto, rifarollo… 🙂
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grande la mia Cri anche quando “gioca”! grande sempre! ❤
bella bella bella parodia la tua, quella dell’ottavo sonetto del Canzoniere.
che abilità, Cri, abilità rara.
che ironia!
vorrei imparare… con grande calma a fare questo!
io, però, non sono Cristina Bove, ma solo gb.
Ti abbraccio forte
gb
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mi sono divertita molto.
grazie, gb
🙂
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non avevo notato il tuo dipinto così incisivo e bello nei toni del blu.
🙂
gb
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🙂
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caro Guido, mi sono divertita a parodiare l’ottavo sonetto del Canzoniere:
A pie’ de’ colli ove la bella vesta
prese de le terrene membra pria
la donna che colui ch’a te ne ‘nvia
spesso dal somno lagrimando desta,
libere in pace passavam per questa
vita mortal, ch’ogni animal desia,
senza sospetto di trovar fra via
cosa ch’al nostr’andar fosse molesta.
Ma del misero stato ove noi semo
condotte da la vita altra serena
un sol conforto, et de la morte, avemo:
che vendetta e di lui ch’a cio ne mena,
lo qual in forza altrui presso a l’extremo
riman legato con maggior catena.
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Apprezzo molto queste rime giocose, che necessitano comunque di notevole abilità tecnica, oltre che di un notevole spirito ironico. Quanti tra i cosiddetti poeti di oggi saprebbero comporre decorosamente un sonetto o usare il metro delle carducciane odi barbare o dei canti di Leopardi?
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