costeggiava le terre bianche e nere
i mari allineati alle banchine
moli da poche lire a sbarco
-ma si può- chiesero sui pennoni
gabbiani reduci da poesie distoniche
-dire delle sommosse
stando seduti sulle gomene?-
rispose un pesce quasi
esanime
-sto qua per le fragranze immaginarie
opercoli di seta
circostanze branchiali
da trasformare in nuoto libero-
l’albero del veliero
issava braccia
vele a maniche corte
la bonaccia
il timoniere divagava e stelle
benché velate d’ansia
spostarono d’un attimo la sera
La tua poesia, al di là di ciò che vuoi esprimere, è un piacevole dondolio sulle onde della musica. Sempre magica Cri!
Giovanna G.
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grazie, Gio.
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Sì, Maria, forse si può, e forse è proprio in quell’attimo del salto il mistero della vita.
la sorpresa lo sai, è prima mia…
Grazie
baci e buona domenica
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sì si può, parlando con i gabbiani, da fermi, dal moto immaginario, azionare movimenti e addirittura sommosse, basta soltanto riuscire a spostare il tempo dell’attimo sufficiente per un salto quantico…
Cri c’è da rimanere a lungo a bocca aperta, come il pesce quasi esanime, per queste poesie bellissime… io boccheggio di già…
baci
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perfetto, Mimma
non aggiungo altro…
solo un abbraccio
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Penso che il punto centrale della poesia sia quel “pesce quasi esanime” che sta lì per TRASFORMARE in NUOTO LIBERO quel pezzetto di vita che resta. Un pesce o una sirena o una poetessa. E le terre sono bianche e nere come i tasti di un pianoforte perché noi suoniamo la vita nelle sue gioie e dolori. Così STIAMO, e la nave, cioè il corpo che ci ha accompagnato per questi anni era, anzi è bello, anche se fisicamente eravamo più carine da ragazze.
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