pronunciavo di me cose per dire
i getti del limone
l’ombra sul muro accanto alla grondaia
l’approssimarsi del vibrato blu
d’un calabrone
quando la sedia triste
mi suggerì la sconsolata simmetria del vuoto
di chi non s’era mai seduto.
Incline al soliloquio
partecipavo a cerimonie mute
d’arrivederci _gli addii troppo ciarlieri_
ridevo dentro come una bambina
bambina nata a sud di tutto il mondo
e fu così che incominciai a volare
e per esorcizzare le paure
mi diedi fuoco al cuore, ma
più incenerivo più dimenticavo
ora non so che cosa sia essenziale
tanto da poter essere tradotto
:è tutto così improprio ed inesatto
tutto così perfetto.
sarà pubblicata nella raccolta “Una donna di marmo nell’aiuola”
Campanotto Edizioni
qui mi fermo, sosto e riparto,
ogni volta con un nastro
un fardello un volo in più
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qui ti aspetto che sosti e mi lasci
le tue rime scandite perfette
da serbare per voli affiancati
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bellissima e commovente, i nostri pensieri prendono… corpo e armonia.
Grazie Cristina.
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ciao, Ernesta!
grazie di essere passata 🙂
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Sì, perfetta!!!
car
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bbbcri
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Che piacere rileggerti, Cristina!
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che piacere essere riletta, Lu!
un abbraccio
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“è tutto così improprio ed inesatto
tutto così perfetto.” Così termina la poesia di Cristina: un altro ossimoro, la percezione di un’altra ontraddizione.; sfido chiunque a non avere avuto simili percezioni. C’è sempre qualcosa di troppo insieme a qualcosa che manca e l’autocombustione non porta da nessuna parte, crea cenere.Tristissima e dolente poesia , metricamente perfetta.
narda
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e noi, in questa oscillazione, continuiamo a vivere…
grazie, Narda!
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