di qualche anno fa
L’isola
Di fronte al molo, sotto il lungomare, spiccava una piccola sporgenza piatta, biancastra, che alla luce del sole risaltava come se fosse estranea alla scogliera. Una figura vi stava distesa, sembrava addormentata.
Alcuni gabbiani sorvolavano la spiaggia lanciandosi in picchiata con grida stridule.
Da questa parte del porticciolo, affacciati al muraglione, si poteva osservare il profilo del colle e l’agglomerato di case sul litorale.
Eravamo lì da più di mezz’ora, e la sagoma sulla roccia non aveva cambiato posizione.
Intanto una barca di pescatori era approdata, e noi ragazzi scendemmo sulla riva per assistere allo scarico delle cassette di pesce.
Poi ci avviammo verso il bar prospiciente la darsena.
C’era poca gente, alcuni vecchi dalle mani callose e annerite di nicotina giocavano a carte fumando e imprecando seduti ai tavolini di metallo, tra cordami arrotolati e sedie impilate; nell’interno un ragazzo sciacquava tazzine.
Tra un gelato e una partita a flipper, parlavamo della casa della nonna, messa in vendita dopo la sua morte, e che, finalmente, aveva trovato un compratore.
Così i nostri genitori non dovevano più sentirsi obbligati a tornare ogni estate sull’isola, e noi potevamo sperare in altri luoghi di vacanze.
Percorrendo il camminamento del molo per tornare alle rispettive case, notammo ancora che la sagoma era rimasta immobile sulla roccia, nella stessa posizione di ore prima.
Il sole stava calando e la luce radente mutava le forme degli scogli, così ci affrettammo ad attraversare la spiaggia per risalire dal lato opposto.
Oltre le colonnine di cemento dell’argine, sotto di noi, reclinata sul fianco, giaceva immota una forma vagamente somigliante a una donna, le gambe congiunte a formare una sorta di pinna caudale.
Ci calammo dalla balaustra puntellandoci con le gambe e con le braccia fino a raggiungere la strana creatura. Due occhi enormi ci fissarono, imploranti. La reaziione fu unanime, la sollevammo tutti insieme e con fatica riuscimmo a sospingerla in mare.
Vedemmo la sua coda guizzare mentre si allontanava negli ultimi riflessi del crepuscolo.
Alcune persone intanto si erano affacciate e si scalmanavano urlando:
“Guagliu’! Guagliu’, che jate facenno? Saglite, ca se fa’ notte!…
Afferrati alle braccia protese riscavalcammo il parapetto. Ci fu raccomandato di tornare subito a casa.
Non riferimmo l’accaduto ai nostri genitori, non saprei il perché, ma qualcosa ci impedì di farlo. Non ne parlammo mai, nemmeno tra noi
Dopo tanti anni la nostalgia mi ha ricondotto all’isola, e me ne sto qui, in attesa dell’aliscafo che mi riporti in terraferma, seduto nella piazzetta del bar, assorto a guardare la scogliera di fronte.
Un vecchio pescatore si avvicina e, indicando la roccia sporgente, mi racconta: ”Tantu tiempo fa, ce steva ‘na statua ‘e sirena; ma ‘na matina, ‘ncopp a chilli scuogli, truvarono sulamente na scarpa .”
L’avevo persa io.
bella novella! gli adolescenti… lasciamoli sognare.
un abbraccio.
ernestina
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anche da adulti, cara Ernestina, eh?… 🙂
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Bella questa storia della statua-sirena, che racconta quanto l’immaginazione possa apparire reale, quando si è ancora tanto giovani. Ciao!
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certo, Guido, l’immaginazione degli adolescenti non ha limiti.
ed è una fortuna che se ne conservi qualche traccia anche da adulti.
grazie
ciao
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Oh i bambini, i loro sogni materiali. Se sirena era doveva appartenere al mare, tornare nel suo ambiente. E’ una bella “novella” ( sa di nuovo e sa di antico) che insegna come l’innocenza vinca sull’astuzia e sul vantaggio. Poter rimanere con i cavalli in galoppo delle nuvole chiare e alte , salvarci da questo lerciume, da questa malata umanità.
Narda
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è vero, Narda, ho scritto di quei ragazzini proprio senza accorgermene che mi ero immedesimata nell’innocenza della loro età.
forse capita anche scrivendo poesia, a tu per tu con la parte più misteriosa di noi.
grazie
cri
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