Ci sono due modi di riferirsi a sé: quello cerebrale (con tutte le specifiche di un apprendimento letterario, formativo del proprio bagaglio culturale) e quello che pone in una quiddità sconosciuta, solo intuita, dell’essere oltre le apparenze e oltre le percezioni sensoriali.
Chi si immedesimasse soltanto nella propria identità intellettuale, potrebbe attribuire la propria evoluzione al conseguimento del successo personale, essere gratificato dai consensi a tal fine; ma avrebbe difficoltà a relazionarsi con chi conosce di se stesso un’immagine assorta, tesa al disvelamento di ciò che percepisce di sé oltre le logiche del dato.
Tenderebbe a caricare di pulsioni antagonistiche gli aspetti più innocenti dell’altrui comunicare. Sarebbe difficile stabilire rapporti che travalicassero la conoscenza specifica e indirizzassero, invece, la relazione in ambiti dove la mente non fosse la sola accentratrice di logica e attenzione, ma si lasciasse trasportare da quel feeling che misteriosamente accomuna le anime.
Quando le menti si “incontrano” nel comune respiro, quando si accostano per incoraggiarsi a vicenda e sorprendersi insieme di tutto ciò che misteriosamente coinvolge e commuove, si diventa poesia.
Se non ho capito male, qui parli di un incontro tra il proprio Sè cosciente (quello della ragione) e il proprio Sè nascosto (quello dell’energia vitale) per andare in maniera partecipativa verso la comprensione dell’altro.
In arte “l’essere oltre le apparenze e oltre le percezioni sensoriali” non solo è necessario ma addirittura condizione sine qua non: può nascere arte solo attraverso il libero fluire del Sé nascosto e non importa se “l’altro” in quel momento ne è escluso. Io non credo che si debba necessariamente interpretare il mancato coinvolgimento dell’altro come il predominio di una mente ripiegata su se stessa e tesa solo al riconoscimento della sua superiorità (intellettiva e culturale).
Il “disvelamento ” che conduce alla creatività (poesia, scrittura, pittura etc) è possibile attraverso il meccanismo della consapevolezza del Sè, dei propri mezzi, delle proprie capacità, che può apparire come narcisismo o puro egoismo: ma non lo è.
Se c’é “l’incontro delle menti nel comune respiro”, nel comune afflato di condivisione, allora si può parlare, tutti, il medesimo linguaggio e si può parlare di una consapevolezza collettiva, quel sottile feeling che accomuna le anime.
In caso contrario, se non c’è condivisione, se sento l’altro lontano da me, se ciò che creo, dico, faccio nonostante la mia volontà e il mio piacere di inglobarlo nella mia consapevolezza, viene palesemente rifiutato o ignorato, allora preferisco un rilassante solipsismo.
Sempre interessanti i tuoi spunti 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
In parte sì, Elisabetta, è già nella dicotomia del Sé percepito e del sé costitutivo, quanto hai ipotizzato.
Così come hai ben definito “consapevolezza collettiva” il feeling che accomuna nella condivisione cognitiva-emozionale della realtà, non solo quella materiale istintuale ma soprattutto quella intuitiva.
Concordo con te pienamente nella considerazione finale, nel preferire un sano solipsismo a uno squilibrato confronto.
Quel comune respiro cui mi riferisco, tuttavia, è la sola presa efficace per sottrarsi all’annichilimento dell’io, almeno così mi suggerisce il pensiero, e per dare un senso all’immane Bellezza del’esistere. Nel bene e nel male.
Forse ci cerchiamo, e a volte ci troviamo, appartenenti allo stesso mistero, a volte sgomenti, e ci tendiamo le mani per resistere ed esistere.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Concordo con te con qualche riserva: accogliamo e abbiamo bisogno di essere accolti; mi sento affratellata anche a chi è molto diverso ma mi rispetta; non ho riserve , ma un’età in cui le idee si sono fatte salde, sono cementate con i gesti e con la carne.
Leggerti è sempre bello, non si perde mai tempo.
"Mi piace"Piace a 1 persona
sono d’accordo con te, cara Narda, perché quanto asserisci è anche il mio pensiero:
l’accoglienza è imprescindibile dalla stima e dal rispetto reciproco..
grazie a te, che trovi sempre qualcosa di buono in ciò che scrivo.
"Mi piace""Mi piace"
È un aprirsi all’altro senza riserve, che consente di ri(scoprirsi) e ri(conoscersi) senza sovrastrutture inutili. Un sorriso
Patrizia
"Mi piace"Piace a 1 persona
perché quelle sovrastrutture separano, e non consentono un incontro che potrebbe arricchire entrambi.
🙂
"Mi piace"Piace a 2 people