vagabondare intorno ai propri passi
nel guscio della casa
o starsene sospesi
merli e cicogne in carta di sospiri
fatti di piegature e sortilegi
lasciandosi alle spalle
assurdità da paradisi paraventi
e sempre più distare
dai voli che finirono in sordina
svaniscono nel nulla le figure
__non si possono scrivere sul marmo
il fatto il sogno e il numero dei quanti__
si va restando immobili nel corpo
si sta mentre si spazia oltre il sensibile
nell’universo dell’iperesistere
Si può fare musica anche con il più dolente degli argomenti; questa poesia è melica e struggente, e tratta della nostra inconsistenza, di figurine di carta create da sapienti piegature. Da questo esistere quasi aleatoria si attende “l’eventuale” iperesistenza.
Narda
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sentirsi piegati a fisarmonica, cara Narda, e dove le pieghe sono più profonde sentire il battito del’infinito farsi umano…
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E’ come una transumanza, andare e venire, ma sempre restare nel (citaz) “solco dell’appartenenza”
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e in quel solco percorrersi pensiero…
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