La vita è un continuo voltare pagina, su ciò che è stato fatto, detto, creduto.
Lo smarrimento di sé stessi è il vero motivo dell’alienazione degli esseri umani, il non potersi collocare nella stabilità se non dimenticando di consistere in forme vacillanti e mutevoli.
Tentiamo di afferrarci alle molteplici manifestazioni di “io”. In realtà siamo l’idea del sé, una rappresentazione che supponiamo univoca per la personale salvezza, costruita nel tempo, fatta di acquisizioni e perdite, incostante, senza alcuna certezza. Il corpo che riveste questi “io” ci rappresenta mentre ci nasconde.
Siamo estranei a noi stessi, dentro di noi accadono miliardi di nascite e morti, incalcolabili flussi energetici che trasformano ogni cellula della materia di cui sono fatti i nostri involucri-corpi. Eppure non possiamo che rapportarci ciascuno alla propria fideistica realtà rappresentativa, distanti innanzitutto da noi stessi, prima che dagli altri.
Lontani dalla superficie della nostra pelle, affondati nell’isolamento della nostra forma, prigionieri di un mistero che non si svela e non ci svela.
Formiamo comunità, paesi, nazioni, l’intero mondo, tuttavia ciascuno è solo, abbandonato alla propria inconsistenza e fine. La paura che ne deriva spinge all’aggregazione, nel bene e nel male, fa nascere la necessità di rapportarsi: l’io, senza altri che l’io, non avrebbe nulla da ricordare, nulla da dimenticare: sperimenterebbe se stesso come continua morte.
Costruire capanne o progettare grattacieli, fondare accademie o cosche mafiose, creare strumenti di tortura o eccelse forme d’arte, nel profondo di noi stessi sappiamo che qualsiasi appartenenza è transitoria, e non ci salva dalla solitudine, né ci rende immortali.
Certo: se l’umanità è mutamento continuo, anche a noi sfugge la conoscenza, anche noi siamo parte di coloro che definisco gente cieca. Chi mai può avere la presunzione di sapere? Per una cosa che comprendo, ameno io, mi accorgo che me ne sfuggono altre cento, altre mille. E via discorrendo. Intanto questi decreti ci rendono ancora più de-cretini. Noam Chomsky docet.
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Sappiamo che ogni appartenenza è transitoria, e ci impongono per decreto di considerare stabili gli affetti. Come se l’essere umano fosse stanziale e si potesse scegliere. Viviamo fra tanta gente cieca, che non riesce (o finge di non riuscire, poco cambia) a vedere la realtà.
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a volte mi sento cieca io stessa.
la realtà è continua trasformazione, continuo fluire verso l’inconoscibile, dentro e fuori di noi.
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Forse abbiamo il ricordo latente, nascosto, sepolto nell’incoscio, di un’appartenenza altra da qui, , un’appartenenza che pure è in grado di preservare la singolarità. In questa “realtà” invece l’appartenenza a volte scade nell’appiattimento e nella privazione dell’unicità. Non è sentirsi uguali che ci fa sentire meno soli, forse solo il senso di essere provvisori in questa manifestazione, eppure avere certezza che c’è dell’altro che evolve e cresce ed è sempre stato, il famoso “tutto” di cui spesso abbiamo parlato, e del quale, ogni tanto abbiamo barlume,, ma così fugace che spesso si dimentica. Un abbraccio.
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chissà che non sia proprio quel velo di mistero a permetterci di sperimentare l’apparenza della materia in ogni sua forma senza impazzire…
il legame tra anime è un altro bel mistero: lo percepiamo con sensi che non sono quelli fisici, eppure, come dici tu, non riusciamo a “fissare” questa consapevolezza perennemente, e quando nella fugacità di un’epifania ne cogliamo il nesso, ecco che già ci sfugge e ci si ritrova corpi e solitudine.
ti abbraccio
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Solo le religioni hanno fornito paesaggi dove convivere schiacciando sotto i piedi come serpe la solitudine che connota questa permanenza.
Narda
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in sintesi, sì è proprio così!
ma è un vivere senza consapevolezza, affidandosi a Dei umanizzati e a simulacri di trascendenza.
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