Stavo scrivendo una poesia d’amore
quasi mi stavo commuovendo, quasi
se la tastiera non avesse riso
anzi no, sghignazzato
e non m’avesse indotto a stropicciare
un foglio virtuale al perfido cestino
forse è più conveniente
scrivere di silenzi e di respiri (ché da morti
si è certamente più eleganti)
e di note barocche o di mazzocchi
il dentro e il fuori arrotolare ad arte.
Stavo scrivendo languide carezze, quando
un guizzo alla nuca _un lieve scappellotto
e mi si è acceso un testo ? tasto
da ripiegare a uncino, forse un amo mimetico
inizio mascherato (il resto m’ancia)
a questo punto è inutile il prosieguo
le parole che allappano, i tapini bacidanotte
(ma che ti viene in mente?) mentre fuori
siedono in parlamento i malfattori i vecchi
ammanicati gli assassini _ferma, non cancellare_
gli omuncoli da quattro soldi d’anima
arringatori d’alvei pusillanimi, fiumi di feci
__che parole, signora, lei che il lutto
nemmeno le si addice, elettronica__
Così persi qualunque ispirazione e dell’amore mio
smisi di scrivere, misi da parte lune inseparabili
stagnole di cioccolatini (quando mai!)
stelle inabilitate a trascrizioni di…
eh no, che non si può tradurre il cuore.
grazie anche a te, di esserci.
ché in tutto questo marasma sembriamo naufrghi in una zattera alla deriva… e non è certo la Méduse… tanto nessuno di noi è Géricault e nessuno saprà mai dipingere nel cielo il proprio tormento.
fortunatamente e tragicamente, come dici tu, continuiamo ad essere presenti a noi stessi, ci siamo, esistiamo, e siccome il nulla non esiste, siamo vivi sempre, cambieranno solo i panorami.
baci
cri
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ad un certo punto trovi che il punto non c’è, o meglio sei tu, quel punto nell’amor proprio, quello che non si mette a far cenci del sentire e sempre è tutto ed è intero, senza essere mai un uomo o una donna in sgombero, perché siamo qui ora e poi lo saremo ancora, pur non ricordandoci né il fico né il secco che patimmo un giorno, poi un altro come un pane nel forno, fino a questo oggi in cui nascemmo e rinasciamo, fortunatamente ancora uguali, tragicamente uguali e tali da poterci diri, disdire e ridere addirittura irridere dando prova della maggior universa saggezza raggiungibile, proprio come fai tu, cara maestra dei colori con tingere un’anima vivibile. Grazie d’esserci. ferni
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Questo tuo scrivere, così elegantemente, a doppia voce, all’apparenza tutto così ironico, che solletica un sorriso, a me dà un grande senso di apprensione.
Sembra tutto un “giocare” il tuo, un “giocare” colto anche, ma…
C’è qualcosa di nascosto in questi versi.
Tutte queste tue metafore mi ricordano chi ride e sorride per deviare, allontare da sè qualcosa di molto serio di cui tace.
Il non-detto esplicitamente parla però.
Io colgo il momento in cui ogni tasto ha tramutatato il tuo piangere nascosto in espressioni decisamente ironiche.
Questa tua autorironia così forte, questa volta, mi rende triste!
Bellissima poesia, Cri, sulla quale si potrebbe dire molto, moltissimo.
Io, subito, sono stata colpita fortemente da quello che ho cercato di farti giungere.
Anche il tuo quadro e la musica mi portano alle stesse conclusioni.
Ti abbraccio forte, Cri.
gb
e vedo anche Cri che non si arrende!:-)
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hai colto molto, gb, amo soprattutto l’autoironia.
e scrivo perché mi tiene in vita.
non credevo di poter resistere tanto a lungo, mi sono arresa all’mperscrutabile, però.
grazie
un abbraccio
cri
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Forse si riesce a sopravvivere solo così, con ironiche metafore, quando anche la tastiera ci irride e le stelle cadono nel cassetto. Eppure anche queste ironie ci servono, abbiamo una fame insaziata d’amore, che non potrà essere sempre quello dei ventanni ma non ha perduto ardori e genealogie di patimenti.
Ce lo hai ricordato contro l’aridità che avanza e preclude anche la luce delle lacrime. Grazie, Cri, grazie davvero.
Narda
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sìsì, Narda, sopravviviamo a noi stessi, e l’autoironia ci salva dai refusi esistenziali, ci distoglie dal mistero in cui siamo immersi, prigionieri del tempo e delle sue “battute”.
la nostra fame d’amore è spesso disattesa, talvolta irrisa, eppure troviamo ancora in noi il coraggio di batterci col cuore guerriero che non si arrende.
un abbraccio e buonanotte, cara amica
cri
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Oh, Cri!
pensavo…
ma…di cosa scriverò quando non scriverò più d’amore?
povera me!
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probabilmente di meglio, Lucia.
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WOW!!!
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❤
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che cosa è poesia… ?
e qualcuno, perfino una tastiera, sembra avere sempre la risposta…
Ciao Cristina, buona domenica
lu
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così, pare, lu: qualcuno ci pesta in ogni cellula, e scaturiscono parole al posto delle lacrime.
buona serata
cri
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ma le parole di poesia sono contenitori in cui si raccolgono comunque quelle lacrime non versate…
Mi piace molto l’immagine che hai associato
buona notte Cri
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il resto m’ancia!!! ah ah ah! sei troppo forte!
eh no che non si può tradurre il cuore!
bella invenzione, la tastiera che ti parla e tu obbediente trascrivi quello che vuole lei, e ti riprende pure se scrivi parole… che parole, signora!!! suvvia…
ma… ferma, non cancellare!
sei troppo fortissima (sic!)
ciao buona domenica
car
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giochino solo apparentemente linguistico, come il simbolismo del mazzocchio nei pittori medioevali.
tra me e la tastiera, sono più io ad essere lo strumento di risonanza, ancia di uno strumento a fiato, ma anche il resto del resto.
e chissà che questo mio scrivere in doppia voce, non sia una trovata per non pensare a cose ben più serie…
ciao, Car, buona serata
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malgrado gli ‘elementi disturbanti’ che hanno interrotto lo scriver d’amore, sortiscono versi sempre musicali e belli (alcuni mi hanno anche fatto sorridere per le eleganti metafore). ciao Cristina, buona domenica 🙂
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eppure l’amore… Ludmilla cara, è la spinta propulsiva di ogni manifestazione artistica, è per amore che scriviamo del non-amore.
buona serata 🙂
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su questo non ho proprio alcun dubbio.
buon Lunedì 🙂
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