AIUOLA
Nel giardino abbandonato merli e cornacchie becchettavano tra le gramigne e i rami inselvatichiti dei meli.
In fondo a un vialetto di ghiaia, costeggiato da erbacce, c’era una villetta dai muri scrostati e dalle finestre sbilenche, il tetto di tegole sconnesse e le grondaie traboccanti di foglie marcite.
Penzolante dal cancello, sotto il numero civico sbiadito, un avviso su cui si leggeva a stento ”vendesi”.
Tra la parete posteriore della casa e il muro di cinta, una zona di sterpaglie dove, accanto ad un pozzo in disuso, spiccava una piccola verdeggiante aiuola fiorita di calle.
Noi ragazzi ci infilavamo sotto il reticolato per raggiungere un ripostiglio stretto e lungo dove erano accatastati vecchi attrezzi, vanghe, roncole arrugginite, una tanica da irrorazione appesa per le cinghie sfilacciate, alcuni manici di legno tarlati e un bruciatore di ghisa spaccato.
Avevamo ripulito alla meglio il pavimento dai minuscoli escrementi dei topi e steso dei giornali. Ci si riuniva per leggere in santa pace albi di fumetti e scambiarci figurine, lontano dai richiami perentori delle madri.
Fu il più piccolo di noi a farci notare l’aiuola quando, dopo essere uscito per fare un bisognino, ci venne incontro ridacchiando divertito e, indicando le calle svettanti sulle grandi foglie, si pavoneggiò delle virtù concimatorie dei suoi residui organici.
Ci avvinammo per scrutare ciò che vi era stato appena deposto, ancora fumante.
Ma scorgemmo anche qualche altra cosa tra gli steli e il terriccio, una forma segmentata, vagamente somigliante a un ragno di plastica. Nessuno osava raccoglierla.
Mi feci coraggio e, mentre l’afferravo, se ne staccarono alcuni frammenti, per la precisione le falangette ossee di un dito.
E adesso come la metti? Hai cominciato a raccontare ed eccoti qua, a chiederti come puoi concludere questo dannato racconto. Che poi, a definirlo tale…
Vediamo, potresti far entrare nella storia il fantasma di un corpo sepolto, perché, sembra chiaro, sotto c’è sotterrato qualcuno.
Bisogna scrutare attentamente sotto le foglie, alla base degli steli e intorno alle radici.
Procedo in avanscoperta, gli altri stanno dietro tenendosi addossati, silenziosi.
Sono nel centro dell’aiuola, quando scorgo una forma biancastra nel terreno smosso.
Un tremito mi percorre la schiena, mi blocco, mi va via la voce… quello che vedo sembra in tutto e per tutto una testa, piccola, di bambino.
Ehi, non te la caverai descrivendoci la triste storia di un rapimento di tanti anni fa?
Potrebbe essere credibile.
No, non convince nemmeno te.
Quindi?
Se te lo suggerissi io, dovresti dare ulteriori spiegazioni della mia presenza nel racconto, non ti pare? E che figura ci farei? Del tuo alter ego visionario?
Uhm…
Deciditi, e finiscila decentemente questa vicenda che non ti ha chiesto di essere narrata.
E va bene!
Dunque, che si fa se si è un bambino vivo davanti alla testa di un bambino morto?
Si urla a squarciagola, perdinci! E poi con gli amichetti si corre terrorizzati verso casa, si balbetta, si piagnucola, e infine si riesce a far capire qualcosa ai genitori.
Beh, facciamo che a questo punto i bambini vadano a messi a letto, calmati, abbracciati, rassicurati: ci penseranno loro, i genitori, a verificare l’orribile cosa.
Intanto cala la sera (e questo è di prammatica, ma possiamo risparmiarci la notte tempestosa e il buio dilagante).
Arrivano i baldi genitori a far luce sul posto, letteralmente, con le torce elettriche che frugano nel fogliame: la manina è li per terra. il ditino mancante, la testina pure. Sporge dal terreno anche parte di un piccolo torso.
Accanto al corpicino affiora quanto resta di una piastra metallica arrugginita, un’insegna su cui si legge a malapena:
LAB TORIO ART G NALE
SI RIP RAN BAMB LE E M NICH NI