Ci sono pensieri che non possono essere espressi perché nascono da una scissione profonda del sé, pensieri che subito svaniscono e altri che s’incistano nella mente per giorni, assillanti.
Quando si è in uno stato d’inerzia obbligata, si fanno più pressanti e spesso sfociano in evocazioni spiacevoli: i ricordi irrompono con drammatica lucidità, tornano dal passato senza censure e sotterfugi. Non si può sfuggire ad essi.
Per trarsi dall’angoscia ci si abbandona a una sorta di catatonia che tutto fa assopire, quasi scomparire.
Ciò che circonda il proprio esserci ha connotati rarefatti, a volte si è soltanto una fitta dolorosa, a volte un respiro che asseconda il sollievo. Si è così fragili nella volontà di resistere, sorpresi di non trovare altri appigli nella propria nuda precarietà.
“Essere o non essere” è un impreciso dilemma: la scelta è illusoria, in realtà non si pone, ci si adegua secondo le motivazioni più pressanti. Il sé non appartiene più soltanto alla persona, ma si dirama in molte direzioni, più o meno vincolanti, e in voci che trattengono. Andare e restare contemporaneamente, assentarsi pur essendo presenti, interagire nella quotidianità pur sentendosi assenti.
Si può vivere tutta la vita con una catena invisibile al piede, se ne avverte l’impaccio, tuttavia si procede come se non ci fosse, si arranca, ci si sforza perché non se ne avvedano gli altri, e ad ogni giorno concluso si mette il segnalibro della propria fatica. Se ci si risveglierà domani, sarà come riprendere a leggersi, in un romanzo che si scrive da solo.
“…quanto silenzio ancora da svelare
intorno all’illusione
di questa voglia insana di mostrare
la cosa che nascondi
la cosa che non c’è : morire”
Così scrive Luciana Riommi, ed è illuminante nel suo poetico dire.
La cosa che non c’è fin quando ci siamo noi.
Che ci sarà quando non ci saremo.
Che informa di sé tutti i giorni, che assegna a ciascuno il proprio carico d’ansia, ineludibile, che ci si porta nell’inconscio e ci fa presenti-assenti nello stesso tempo.
Prestidigitatori del tempo, ci inganniamo da soli ad ogni sortita di coniglio dal cappello.
“La vida es sueño”
Ma è un sogno terribilmente pesante.
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Cristina, anche oggi, a distanza di tre anni, le tue parole mi toccano profondamente… e un po’ anche le mie. Grazie di aver riproposto le tue riflessioni.
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in questo fa bene anche fb a ricordare e dare l’opportunità di condividere ancora.
e sembra che il tempo rafforzi l’amicizia e il pensare all’unisono.
un abbraccio
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ti abbraccio anch’io
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“Si può vivere tutta la vita con una catena invisibile al piede, se ne avverte l’impaccio, tuttavia si procede come se non ci fosse, si arranca, ci si sforza perché non se ne avvedano gli altri,”
Di tanto in tanto, mi imbatto in riflessioni come questa, di una lucidità perforante. E penso: avrei voluto, o potuto, scriverlo anch’io; ma non l’ho fatto. Chi ha una mente come la tua, Cristina, ha anche questo dono. saper svelare agli altri ciò che non sanno dire, o neppure pensare.
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cara Marina, ogni volta che riesco a manifestare qualche barlume di pensiero e scopro di aver espresso anche il pensiero di chi legge, sono felice come non mai.
è forse per questo che scrivo, per sentirmi partecipe di un comune sentire.
grazie di avermelo detto.
un abbraccio
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È difficile, anzi impossibile, aggiungere qualcosa alla profondità delle tue riflessioni su questa nostra condizione di presenza-assenza… e trovare qui anche le mie parole è stata un’esperienza perturbante… Grazie Cristina.
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le mie riflessioni hanno trovato il modo di essere esternate prendendo spunto dai tuoi versi.
grazie a te
un abbraccio
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