Compagni di viaggio

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Calma enzimatica

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Le voci

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Quando

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‘Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie’

 
 
Invecchiando si avverte più che mai la provvisorietà dell’esistenza.
Oltre le quotidiane riflessioni sulle difficoltà causate dagli acciacchi fisici, sulle emozioni suscitate dagli eventi, gioiosi o tragici, che hanno lasciato un segno indelebile nella memoria, ci sono le considerazioni sui necessari e ineludibili distacchi.
A ottant’anni si è provati dall’abbandono di persone che ci erano care e che ci hanno lasciato per divari esistenziali e per mille altre ragioni.
A volte mi sento una superstite di terra approdata in una piazza che si va sfollando degli astanti: figli, parenti, amici, tutti giustamente impegnati a condurre la propria vita e a seguire la propria strada.
Provo un profondo, accorato smarrimento alla morte dei miei coetanei, come se fosse ingiustificato il mio essere ancora viva. Ma ho smesso di farmi domande su esiti finali, sopravvivenze, campi elisi e simili altre fantasticherie.
Trovo conforto nella scienza, che, tuttavia, se da una parte placa l’intelletto, dall’altra lascia campo aperto all’incompletezza delle acquisizioni.
La storia evolutiva dell’umanità è determinata dall’incessante ricerca e dalle relative scoperte che fino ad oggi costituiscono il patrimonio genetico e culturale di noi esseri viventi e pensanti, il continuum evolutivo da cui deriva anche l’approfondimento della logica che prospetta razionalmente ulteriori apprendimenti.
La comprensione mia personale, pur nella sua limitatezza, mi pone in una sorta di stallo: può sembrare un paradosso, eppure in questa dicotomia sto come sospesa, in balia dell’alternanza tra l’io meditativo e l’io facente.

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Quiddità

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Questo pensiero ritenuto mio

è il risultato del pensiero umano
_da secoli di prove, segno e suono_
dal primo gesto indicatore
all’enciclopedia treccani

questo pensiero che mi fa chi sono
è un insoluto di potenza
l’esplicitarsi della volontà
soggetta al caso e alla necessità

si manifesta in ogni forma e mente
è un’onda che dall’era delle origini
ci ha trasportati e ci trasporta tutti
un’onda che s’ingrossa da millenni
_ nessuno sa da quale mare arrivi
e a quale mare approderà_

questo pensiero che ci fa chi siamo
a volte chiaro, a volte terra nera
a volte cielo
è una goccia di spuma della scia
i nostri nomi
scritti acqua nell’acqua

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Salix babylonica

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Nomination

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Del tacere

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Un acufene segnatempo

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Lucciole mimetiche

Se tenessimo il mondo nella mente
pure sarebbe solo un punto
nell’infinito stratosferico
la misteriosa ubiquità dell’ente
_essere il dentro e il fuori del cervello_
il cranio un puntaspilli di capelli
conduttore d’elettrici pensieri
e fuori il santo prato di faville
la ronda delle idee tradotte in pixel

se ci scoppiasse l’anima di luce
forse saremmo sparpagliate
minuscole comete
a fare un cielo altrove

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Sine die

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Tracciamento

Settembre 2012

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La sentinella

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La rimozione della logica

Il palco esige
allittera strombazza assorda inganna
e tutti i carillons la stessa musica
_udiamo cacofonici assemblaggi_
clamori al primo premio d’arrembaggio
si fa così da secoli, e la voce
dei folli violinisti di Chagall
è una voce lontana da gabbiani
da primavere azzurre e viole mammole
                 scende dal cielo, cade sulla terra
                 dice la mezza verità
                 l’intera verità sarebbe letta
                 ma subito rimossa
                 stanziale come un amen in sacrestia.

La scena è fumo agli occhi
una kermesse di pietre in un carnaio
_la campana non suona anche per noi_
memento mori
è invito a ringraziare della vita
ma anche a fronteggiare chi la morte
dispensa a piene mani

siamo tutti partecipi del rito
qualunque sia la fede e la grammatica
da una parte le stelle e gli artifici
dall’altra il sangue degli inermi
                 io sono in prima fila a frastornarmi
                 di stolti déjà-vu
                 seriale anch’io nel ruolo inconsistente
                 di pecora dormiente

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Absents à la Bastille

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Annotazioni a margine del mondo

Scrivere nella nebbia
appunti da riprendere al chiarore
di lampade votive
_storie di vita e morte
nel gocciolare della galaverna_
sopra un altare per icone stinte
dove s’annidano i dolori
le traversie dei vivi e dei morenti

voci invasive, suoni importunanti
uomini dallo sguardo tenebroso
scrutano il male tra le chiome
nei volti delle loro stesse figlie
ebbri di profezie danno la morte
a chi non condivide il loro dio

ci giungono notizie
di uccisioni efferate
e noi dovremmo uscire dalle case
urlare da spostare le montagne
da rovesciare numi e dittatori
urlare disperati
fino a restare senza voce
sperando che ci ascolti un dio di pace

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Dialogo sui minimi sistemi

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Eonica

 

 

Io non sono un’artista, piuttosto un’artistoide, parola che associo ad asteroide: nel suo sfiorare la terra senza raggiungerla, somiglia al mio rasentare l’arte senza appartenerle.
Ho dato vita a cose che non c’erano (unica e ineguagliabile realizzazione i figli), ho dipinto stranezze, espresso pensieri che ovviamente sono confluenza di pensieri già pensati, perdonate il bisticcio di parole, da tutte le menti che mi hanno preceduta su questo pianeta.
Quasi mi sento un fossile, un’impronta appena accennata, una testimonianza minima, che va scomparendo.
Miliardi di esseri umani sono esistiti e scomparsi senza lasciare traccia, eppure sono stati tutti portatori del mistero in cui tutto si realizza.
Come ogni essere e cosa esistente nell’universo, anche io sono la particella di un infinito advenire e divenire.
E dunque senza ciascuno di noi il Tutto non sarebbe tale, essendo mancante di quella frazione infinitesimale che ogni elemento, dal subatomico al macroscopico, apporta al suo consistere.
Ho fatto una capriola immaginaria, mentre scrivevo fin qui, un capovolgimento che mi ha catapultato fuori dalla stanza: ero un quanto rocambolesco, autoirriverente, nello spazio interstellare.
Come fare a prendermi sul serio?
Io non lo so. Ma gioco.

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